Valter Leonardo Puccetti, “Federico II in Dante”
Valter Leonardo Puccetti discute della presenza di Federico II nell’opera dantesca e delle sue vistose ambivalenze. «Illustrissimo eroe» nel “De vulgari”, contraddetto sul tema della nobiltà da Dante eppure esaltato come «loico e clerico grande» nel Convivio, nella sesta epistola viene ricordato per la cocente sconfitta di Vittoria a paragone col padre trionfatore in Milano. Nella Commedia Federico riceve condanna in Inferno fra gli epicurei, ove è citato in modo cursorio e si direbbe con calcolata nonchalance, e viene poi caratterizzato indirettamente, in Purgatorio XVI, come figura divisiva che spartì un’epoca, mentre è notevole che il famoso «Fatti non foste a viver come bruti», nella famosa orazione adescatrice di Ulisse in Inferno XXVI, riprenda la definizione che nel “De vulgari” Dante aveva riservato all’imperatore e al figlio Manfredi («sdegnando di vivere come bestie»). Infine, la tragedia di Pier delle Vigne ha come teatro e causa la corte fridericiana, l’«aula» dei «nobili di cuore» purtuttavia celebrata nel “De vulgari”.
Lucinia Speciale, “Da Federico a Manfredi. Il “De arte venandi cum avibus” e la storia di un libro scomparso”
Lucinia Speciale descrive e commenta il più celebre dei manoscritti legati alla memoria federiciana, il codice Vat. Pal. lat. 1071, che conserva la più antica e prestigiosa copia illustrata del “De arte venandi cum avibus”, il trattato sulla caccia al volo composto da Federico II negli anni della sua maturità. Il volume, dalle cui pagine iniziali sono tradizionalmente ricavati i più noti ritratti dell’imperatore, fu in realtà commissionato per il figlio Manfredi, poco dopo la sua ascesa al trono di Sicilia. Un manoscritto illustrato con scene di caccia fu certamente sottratto dalla tenda di Federico II nel 1248, durante il saccheggio che seguì la sconfitta di Vittoria. Ne siamo informati da una fonte contemporanea che lo descrive con una certa cura. Quale rapporto esiste tra quest’originale e il Pal. lat. 1071?
Luciana Petracca, “Federico II e la regina di Gerusalemme”
La relazione di Luciana Petracca mira a ripercorrere un particolare momento della vita di Federico II, e cioè il matrimonio con la regina di Gerusalemme, Isabella di Brienne, sua seconda moglie, celebrato a Brindisi nel novembre del 1225. Intorno alle nozze dell’imperatore Svevo, concordate per suggellate l’alleanza tra Occidente ed Oriente, così come su altri aspetti della sua biografia, la fantasia malevola di alcuni autori, ostili a Federico e suoi denigratori, ha nel tempo ispirato favole e leggende che hanno alterato la realtà dei fatti. Il confronto incrociato tra le fonti documentarie superstiti e quelle narrative, distinte tra più o meno attendibili e inattendibili, consentirà di discernere criticamente il dato storico e di sgombrare il campo da favole, leggende e racconti inventati ad hoc dai cronisti medievali, voce ed espressione di quella propaganda antisveva, che offriva dell’imperatore l’immagine di un uomo lussurioso e collerico, ateo, eretico, tiranno, persecutore della Chiesa e personificazione dell’anticristo.
Rosario Coluccia, “I poeti della scuola siciliana e oltre. Dinastie regali e poesia”
Rosario Coluccia riflette sulla produzione in versi delle dinastie regali del tempo di Federico II e si sofferma su ciò che Dante Alighieri pensava dei poeti che hanno dato inizio alla grande tradizione lirica italiana, ovvero i poeti della Scuola siciliana.
Università di Padova 1222-2022
L’Università di Padova è tra gli atenei più antichi e prestigiosi al mondo e nel 2022 si festeggiano gli 800 anni della sua nascita. Da qui passarono nel Trecento filosofi come Pietro d’Abano o Marisilio da Padova o ancora l’aristotelico Pietro Pomponazzi. Qui Galileo Galilei gettò le basi per la nascita della scienza moderna. Ha ospitato personaggi del calibro di Copernico, Papa Sisto IV, Ippolito Nievo, GWilliam Harvey… 800 anni di studio, ricerca, didattica, comunicazione e condivisione di cui il direttore dell’Istituto Italiano di Cultura di New York ha parlato con la rettrice Daniela Mapelli – prima donna a ricoprire questo incarico in italia – in un’intervista ospitata negli spazi virtuali della Biblioteca.
Paul Arthur, “La rivoluzione materiale della Puglia normanno-sveva”
La rivoluzione materiale della Puglia normanno-sveva: Paul Arthur evidenzia come gli oggetti della vita quotidiana, edifici, ceramiche, monete combinarono elementi di influenza greca e araba e portarono ad espressioni culturali che ancora oggi contribuiscono a caratterizzare il “Mezzogiorno” d’Italia.
Fabrizio Lelli, “Federico II e gli Ebrei”
Federico II e gli Ebrei: è il tema della quarta lezione federiciana, il ciclo di incontri digitali organizzati in collaborazione con l’Università del Salento a cura di Francesco Somaini. Lasciando parlare i documenti di carattere testuale, manoscritti, trattati e cronache dell’epoca messi a confronto con elementi iconografici, Fabrizio Lelli affronta la questione della mediazione culturale ebraica ai tempi del grande impero svevo e i rapporti di questa comunità minoritaria con il monarca.
NY loves Lucy | I fondi musicali della Biblioteca Civica “Angelo Mai” di Bergamo
Il percorso tematico dedicato a “Lucia di Lammermoor” di Gaetano Donizetti inizia dalla Biblioteca Civica Angelo Mai dove il prezioso manoscritto è oggi custodito. Marcello Eynard, responsabile del Settore antico e Musiche, descrive per le “Stanze italiane” i fondi musicali della biblioteca bergamasca e il prezioso manoscritto autografo della celebre opera.
Francesco Giannachi, “I santi parenti: Federico II e l’impero bizantino”
12 aprile 1204, Federico II ha 10 anni, vive a Palermo ed è spettatore di uno degli eventi più importanti del XIII secolo: l’assedio e l’occupazione di Costantinopoli da parte dei cavalieri della quarta Crociata. A partire da questa data inizia il percorso tracciato da Francesco Giannachi, per le “Lezioni federiciane” ospitate nella Biblioteca delle Stanze italiane, che ci parla dei rapporti politici ed umani che l’imperatore Svevo ebbe con l’Impero Romano d’Oriente.
Kristjan Toomaspoeg, “Il regno pluriculturale di Federico e Costanza”
Federico II è oggi considerato un sovrano illuminato ante-litteram che viveva in un ambiente multiculturale composto da greci, arabi, ebrei. Non solo Federico II “tollerava” l’esistenza di queste comunità, ma assorbiva le influenze che si generavano dal continuo scambio culturale, ad esempio con studiosi del mondo islamico. Al regno pluriculturale del re svevo e di Costanza d’Aragona, Kristjan Toomaspoeg dell’Università del Salento dedica una nuova video-lezione che amplia (digitalmente) le prospettive della mostra “Constancia. Donne e potere nell’impero mediterraneo di Federico II”, visitabile dal vivo nella nostra sede di Park Avenue a New York e online su stanzeitaliane.it.
Francesco Somaini, “L’età delle quattro Costanze”
Il progetto “Constancia. Donne e potere nell’impero mediterraneo di Federico II” è accompagnato da un ampio ciclo di video-lezioni (disponibile nella Biblioteca delle “Stanze italiane”) a cura di Francesco Somaini, coordinatore del nuovo Centro Studi Medievali dell’Università del Salento, dedicate alla civiltà federiciana. «Questa mostra newyorkese – sottolinea Somaini – si propone di tornare a riflettere su un’età indubbiamente importante della storia dell’Europa, dell’Occidente, del Mediterraneo quale fu il periodo della dominazione sveva sull’Italia Meridionale. Stiamo parlando insomma dell’età di Federico II e di Manfredi, cercando però di esaminarla, seppure in modo non esclusivo, attraverso il prisma del femminile, prendendo in considerazione in particolare quattro figure di indiscutibile rilievo, accomunate dal nome di Costanza». Si comincia con un approfondimento dello stesso Somaini dal titolo “L’età delle quattro Costanze. Quattro figure femminili al centro delle politica mediterranea nella parabola dell’età sveva”.
Andrea Barzini, “Il fratello minore”
Che fine ha fatto Ettore Barzini, figlio del celebre giornalista Luigi Senior e fratello di Luigi Junior? Perché in famiglia nessuno ricorda la sua morte nel campo di concentramento di Mauthausen? A dare una risposta all’enigma è il nipote Andrea, in un intenso racconto personale che è anche un capitolo di storia italiana attraverso le vicende di una famiglia eccentrica e di due fratelli molto diversi tra speranze e guerre, amore e morte, fascismo e aneliti di libertà. In queste pagine s’incrociano il declino di un padre compromesso col regime, la carriera ambiziosa di un figlio al «Corriere della Sera», e la vicenda dell’altro figlio, Ettore, agronomo solitario, cresciuto tra Italia, America e l’amata Somalia. Ma sono vite destinate a non incontrarsi mai, se non nella guerra che i primi due vissero da reporter e che il terzo decise di vivere con spirito di giustizia, a rischio della propria vita. Un travolgente romanzo autobiografico. Un viaggio tragico e ironico attraverso tre generazioni in cui l’autore, con l’aiuto di lettere dimenticate, ricerche d’archivio e incontri sorprendenti, riscopre la figura di uno spirito libero nato nella famiglia sbagliata.
Alice Urciuolo, “Adorazione”
A Pontinia, piccolo centro di fondazione fascista nel mezzo dell’Agro Pontino, la giovane Elena è stata uccisa dal fidanzato. A distanza di un anno, i suoi amici sono ancora divisi tra il dolore di quel trauma e il bisogno di un’adolescenza normale. Nell’arco di un’estate afosa, vissuta fra le architetture metafisiche di Pontinia e di Latina e le sensuali dune di Sabaudia, e con Roma, la grande città, sullo sfondo, si intrecciano i loro destini. C’è Diana, con la sua voglia sulla gamba che la rende tanto insicura, e c’è la sua migliore amica Vera, che sembra invece non aver paura di niente. Ci sono Giorgio, il fratello di Vera, che era innamorato di Elena e non lo ha mai detto a nessuno, e Vanessa, cugina di Giorgio e Vera e migliore amica di Elena. Intorno a loro una comunità ancora regolata nel profondo da valori patriarcali perfettamente interiorizzati, una comunità dove le famiglie sono spesso tenute insieme solo dall’ipocrisia e dal silenzio. Le ragazze e i ragazzi dovranno così crescere, perdersi e ritrovarsi da soli. Faranno i conti con il vuoto e la passione, l’insicurezza e l’ansia, l’accettazione e l’affermazione di sé. La morte di Elena assumerà per ognuno un significato diverso, e per ognuno si sovrapporrà alla propria storia personale, a un’educazione sentimentale e sessuale fatta di estremi, in cui l’amore, la tenerezza e il desiderio si mescolano alla sopraffazione, all’umiliazione e alla vergogna.
Gaia Manzini, “Nessuna parola dice di noi”
Per Ada, giovane copywriter, le parole sono un gioco: le armi con cui l’intelligenza sfida le leggi della responsabilità. Le parole che la raccontano, però, Ada sa avvolgerle nel silenzio. Per sua madre le parole servono a levigare le anomalie della vita: come il fatto che da sempre, nella casa sul lago, è lei a prendersi cura di Claudia, la bambina che Ada ha avuto quando era troppo giovane. Per Alessio invece più delle parole contano i gesti e le immagini. Lui e Ada sono una coppia creativa d’eccezione; l’uno completa l’altra in un’intesa felice destinata a portarli lontano, fino in America. Mettere molti chilometri tra sé e Claudia è, pensa Ada, il modo migliore per riconquistare il diritto alla giovinezza, quello che quando nasce un figlio perdiamo per sempre. E poi insieme ad Alessio lei andrebbe in capo al mondo, perché il suo sguardo la fa sentire nuova; la riconsegna a sé stessa, nonostante non ci sia una parola per descrivere l’emozione che li unisce. Nonostante Ada non gli abbia parlato di Claudia. Nonostante lui sia omosessuale. La limpida scrittura di queste pagine mette a fuoco i perimetri dentro ai quali finiamo per costringere le nostre vite. E sfida le parole, il loro bordo tagliente ma anche la loro illuminante semplicità. Gaia Manzini racconta due grandi amori difficili – tra una madre e una figlia, tra due amici sulla soglia del desiderio – e il cammino avventuroso di chi deve nascere due volte per conoscere sé stesso.
Elisabetta Rasy “Le indiscrete”
Di buona famiglia o figlie di emigranti, amate o solitarie, ammirate o emarginate, le cinque donne protagoniste di questo libro hanno tutte un rivoluzionario desiderio: indagare la realtà con il proprio sguardo femminile, abituato a cogliere aspetti della vita ignoti, intimi o trascurati, coltivando un’audace arte dell’indiscrezione che è l’esatto contrario dell’indifferenza. Sono cinque grandi fotografe, diverse per carattere e destino, ma ugualmente animate dalla voglia di cambiare l’immagine del mondo scovando bellezza e dolore là dove non erano mai stati visti, che si tratti di amore, politica, sesso, povertà, guerra o del corpo, soprattutto femminile. Tina Modotti, Dorothea Lange, Lee Miller, Diane Arbus e Francesca Woodman hanno poco in comune, per origine e storia personale, ma condividono la stessa voglia di raccontare con l’obiettivo fotografico la realtà a misura della loro esperienza di donne e di ciò che hanno conosciuto, scoperto e amato. Le loro esistenze sono avventurose, spesso difficili. Tina Modotti, operaia in fabbrica a Udine a soli tredici anni, dopo una breve parentesi hollywoodiana vive accese passioni politiche e sentimentali nel Messico degli anni Venti, spalancando i suoi occhi sulla bellezza dei diseredati; Dorothea Lange, in fuga dalla sua famiglia di emigranti, ritrae nel coraggio degli americani rovinati dalla Grande Depressione la propria lotta contro la vergogna della malformazione con cui convive dall’infanzia; l’inquieta Lee Miller, che qualcuno considera la donna più bella del mondo, è pronta a svestirsi degli abiti da modella per denunciare il volto spettrale della guerra; Diane Arbus abbandona gli agi della mondanità newyorkese per puntare il suo obiettivo su ciò che non corrisponde al canone della normalità e raccontare l’imperfezione umana; Francesca Woodman nella sua breve esistenza esplora la figura del corpo femminile, indagandone in crudi ed emotivi autoritratti il lato più misterioso, insieme fragile e potente. Con una scrittura intensa e partecipe, Elisabetta Rasy insegue lungo l’arco del Novecento la vita e l’opera di queste cinque donne straordinarie, animate, ognuna secondo il proprio temperamento, da un’inarrestabile aspirazione alla libertà. Perché proprio l’incontro di talento e libertà è la cifra segreta grazie alla quale hanno saputo farsi strada in un mondo ancora fortemente maschile, diventando protagoniste di un nuovo sguardo sul secolo che hanno attraversato.
Carmen Totaro, “Un bacio dietro le ginocchia”
Una madre, una figlia poco più che ventenne, le quattro pareti della loro casa e un duello di parole e silenzi. Poi una mano chiude a chiave una porta, e quel gesto è uno spartiacque tra il prima e il dopo. Ci sono libri che ti trascinano nel cuore di un mistero rispettandolo, facendolo risuonare sino all’ultimo. Questo libro è così: un ingranaggio narrativo perfetto. Ti catapulta con forza nella testa di due personaggi feriti e vivissimi, ti fa vedere con i loro occhi, sentire con la loro pelle, procedere a tentoni con loro. A un passo dal mistero.
Aurelio Musi, “Storia della solitudine”
«O beata solitudo, o sola beatitudo!»: un poeta del XVI secolo esalta con questo verso il silenzio e l’isolamento di chi è in grado di mettere le ali e volare verso la solitudine: un ideale paradiso in terra. Ma la vita solitaria può essere anche una maledetta condizione negativa, anticamera della malinconia, della depressione, della follia: un inferno in terra. È un castigo degli dèi per il Prometeo di Eschilo, castigo ancor più doloroso per chi ha fatto dell’amichevole socievolezza umana la sua ragione di vita. Eroi granitici, ma destinati alla solitudine, sono quelli di Sofocle. Le tragedie di Euripide segnano poi il passaggio dalla solitudine dell’eroe alla solitudine della donna e dell’uomo. Anche la Roma antica parla ancora a noi contemporanei con i suoi personaggi storici e mitologici. Cicerone fugge dalla corruzione della politica, Seneca esalta la solitudine interiore, ma per Orazio e Tibullo essa significa spesso depressione, nevrosi, angoscia. Il Narciso delle Metamorfosi di Ovidio rappresenta la solitudine come smisurata passione di sé. La dialettica della solitudine fra il positivo e il negativo, tra il suo profilo fisiologico e quello patologico, beata e maledetta insieme, è alle radici dell’Occidente.
Gregorio Botta, “Pollock Rothko”
Da un lato la perfezione del gesto, dall’altro la ricerca di una pittura che “respira”: Jackson Pollock e Mark Rothko sono stati gli interpreti finali di due visioni dell’arte che si fronteggiano da secoli. La storia intensa e drammatica di due personalità straordinarie, fondamentali nella creazione del paesaggio mentale dell’uomo contemporaneo.
Ezio Puglia, “Il lato oscuro delle cose”
Una ciocca di capelli, un velo nero, una somma di denaro, un fermacarte, un assortimento di occhiali, una gamba amputata, un mobile italiano d’epoca barocca: che cos’hanno in comune degli oggetti letterari così diversi tra loro? Tutti sono dotati di un’aura seducente e inquietante, che li rende ben diversi dai semplici oggetti del quotidiano. Le cose e le merci, nel fantastico ottocentesco, sanno esercitare un’attrazione irresistibile, paralizzare lo sguardo, soggiogare la volontà dei personaggi. Gli interni domestici appaiono trasfigurati dall’atmosfera prodotta da una presenza invisibile, spettrale; ed è per questa via che talvolta le cose più banali e familiari finiscono per mostrarci il loro rovescio segreto, il loro lato oscuro. Nel genere fantastico, le dimensioni dell’auratico e dello spettrale, che la critica stranamente non ha esplorato a sufficienza, hanno una centralità tematica indiscutibile. E perciò la narrativa fantastica di Hoffmann o Poe, Gautier o Hawthorne, Henry James o Maupassant, non può che apparirci fondamentale per ricostruire la genealogia dei concetti di aura e spettralità, così decisivi per comprendere la modernità industriale e iperindustriale. Questo libro non è soltanto un contributo per la storia dell’aura e della spettralità. Il suo obiettivo è anche quello di ripensare il genere ottocentesco considerandolo attraverso gli oggetti; e di mostrare in che modo abbia saputo sopravvivere nella letteratura più tarda (da Kafka a Cortázar, da Pirandello a Savinio). Si vedrà come il fantastico letterario, quando lo sguardo critico si concentra sui suoi oggetti, si riveli piuttosto diverso da come siamo abituati a vederlo.
Premio “The Bridge”
Premiazione dei vincitori della sesta edizione (2021) del premio letterario “The Bridge”, curato da Maria Ida Gaeta con la collaborazione di Maria Gliozzi, ideato per promuovere lo sviluppo di un doppio movimento narrativo e saggistico tra Italia e Stati Uniti. Vengono presentati i 5 cinque libri finalisti di ciascuna categoria (narrativa italiana, saggistica italiana, narrativa americana, saggistica americana). Si dialoga con i vincitori di ciascuna categoria. Per la narrativa italiana, Emanuele Trevi, Due vite, Neri Pozza, 2020: un doppio ritratto di due amici dell’autore, venuti a mancare, che si propone di esprimere tutta l’ammirazione che Trevi aveva provato nei loro confronti e di cui non si era veramente reso conto finché erano ancora in vita. Per la saggistica italiana, Elisabetta Rasy, Le indiscrete. Storie di cinque donne che hanno cambiato l’immagine del mondo, Mondadori, 2021: biografie di cinque donne fotografe, che hanno combattuto profondi ostacoli personali e sono riuscite a esprime un punto di vista femminile innovativo. Per la narrativa americana, Danielle Evans, The Office of Historical Corrections: A Novella and Stories, Riverhead Books, 2020: una raccolta di racconti e di una novella, nella quale si immagina l’istituzione di un ufficio governativa per la revisione della storia dei grandi monumenti americani; si riflette così sul rapporto tra una nazione e la sua storia, e di come quest’ultima possa essere raccontata da prospettive diverse. Per la saggistica americana, Patricia Gaborik, Mussolini’s Theatre. Fascist Experiments in Art and Politics, Cambridge University, 2021: un’analisi dello “strategic aestheticism” di Mussolini, una riflessione su come le varie leadership politiche intervengono sulla dimensione estetica al fine di legittimarsi.
Napoleone e il culto degli oggetti
Videointervista di Fabio Finotti – Direttore dell’IIC di New York – a Arianna Arisi Rota (Università di Pavia), autrice del libro Il cappello dell’Imperatore, nel quale espone il ruolo svolto dagli oggetti materiali nella diffusione del culto della figura di Bonaparte. La professoressa spiega che, fin dagli anni dell’esilio a S. Elena, vari oggetti materiali (dipinti, busti, ma anche oggetti di vestiario) legati alla figura dell’imperatore divengono strumento di preservazione della sua memoria e simboli di partigianeria politica. Si assiste fin da subito alla serializzazione e alla mercificazione di tali oggetti, ma un posto di rilievo assumono le cosiddette “reliquie da contatto”, oggetti con cui Napoleone era direttamente entrato in contatto. Tra queste, un caso emblematico è quello della maschera funeraria di Napoleone, realizzata dal suo medico Francesco Antommarchi, di cui vengono riprodotte innumerevoli copie e a cui si ispireranno celebri artisti. Un altro caso particolare è quello del corpo del figlio dell’imperatore, Napoleone II: originariamente sepolto a Vienna, il corpo sarà spostato a Parigi a fianco a quello del padre, in un mal riuscito tentativo propagandistico del regime nazista. Infine, gli oggetti materiali dell’era napoleonica sono stati alla base dell’ispirazione di Stanley Kubrik per il suo film incompiuto su Napoleone – quello che è stato definito “il più grande film di Kubrik mai realizzato”.
Rossini dalle fonti alla scena
Il musicologo Vincenzo Borghetti (Università di Verona) spiega l’importanza dell’edizione critica dell’Elisabetta regina d’Inghilterra, prima opera composta da Rossini per il teatro S. Carlo di Napoli e messa in scena in occasione della restaurazione al trono dei Borbone – nel 1815. Viene spiegato lo stato dell’autografo (relativamente pulito, ma pur sempre segnato da ripensamenti autoriali e modifiche successive); vengono inoltre esposte le difficoltà legate alla tradizione interrotta dell’opera (che non venne quasi mai rappresentata nel Novecento) e alla presenza di una seconda versione dell’opera (composta da Rossini nel 1822 per il teatro imperiale viennese). Ernesto Palacio (Sovrintendente del Rossini Opera Festival) presenta il processo e le scelte necessarie alla messa in scena dell’opera (dalla scelta degli interpreti, alla resa dei vari personaggi per mezzo del canto, all’allestimento della scenografia), mettendo il luce il ruolo decisivo del testo critiche sulle scelte della messa in opera.
Filangeri – Franklin
Simposio che indaga il rapporto tra l’illuminista napoletano Gaetano Filangeri e il padre fondatore americano Benjamin Franklin, in particolare alla luce del loro fitto scambio epistolare. Paolo Jorio introduce i caratteri fondamentali del pensiero politico-giuridico di Filangeri, campione dell’ideale di governo illuminato. Amedeo Arena riflette sugli influssi reciproci tra l’Illuminismo europeo e la Rivoluzione americana, di cui il rapporto Filangeri-Franklin è emblema; i due condividono infatti una visione cosmopolita, che si riflette nel pensiero sulla necessità di tutela dei diritti fondamentali, sulla libertà di commercio e sulla libera concorrenza, sull’importanza di un’istruzione pubblica universale. Giuseppe Foscari analizza le affinità spirituali e intellettuali tra il napoletano e l’americano, dalla fede nel diritto come strumento di raggiungimento della felicità sociale, alla pragmaticità, alla sociabilità, fino all’ideale che le passioni umane dovrebbero sempre essere orientate all’azione pratica e razionale di miglioramento della società; si sofferma inoltre sul mio illuminista dell’America come “laboratorio di democrazia”, luogo di attuazione pratica dei principi teorizzati in Europa. Paolo Gravagnuolo propone degli spunti di ricerca sul rapporto di Filangeri con Cava de’ Tirreni, con la moglie Charlotte Frendel e con vari progetti urbanistici e di riforma sociale avviati nel Meridione di quegli anni. Antonio Trampus tratta dell’enorme fortuna postuma a livello internazionale della Scienza della legislazione di Filangeri, testo che riaffiora in tutti i momenti storici in cui la cultura occidentale riflette sui concetti di diritto, libertà e legalità. Vincenzo Pascale, infine, propone un’analisi dell’importanza dei concetti di città, desiderio e felicità nel pensiero di Filangeri (emblema del desiderio illuministico di fondazione di una città ideale per il conseguimento della felicità umana) e riflette sull’influsso degli emigrati italiani nelle città statunitensi come portatori inconsapevoli del pensiero di Filangeri in America.
Il pianoforte di Napoleone
Videointervista di Fabio Finotti – Direttore dell’IIC di New York – al cembalaro Ugo Casiglia e al pianista Costantino Mastroprimiano, nei duecento anni dalla morte di Napoleone. Ugo Casiglia ci svela il fascino e le sfide della professione di cembalaro – ovvero restauratore di strumenti storici –, dalla rarità degli strumenti a corde antichi (quasi tutti perduti), all’attenzione ai materiali, all’importanza di una resa fedele del suono. Costantino Mastroprimiano – fra i più noti esecutori su strumenti d’epoca – ci parla poi delle peculiarità degli strumenti antichi rispetto ai pianoforti standardizzati moderni; in particolare, spiega come in varie aree geografiche venissero prodotti strumenti leggermente diversi, che producevano timbri specifici, spesso legati alla lingua locale, e come le musiche composte fossero appositamente tarate sulle particolarità di tali strumenti. Impariamo quindi l’importanza di continuare ad ascoltare le opere dei grandi compositori del passato sugli strumenti storici per le quali erano state composte.
Il suono dell’imperatore
Il pianista Costantino Mastroprimiano per i duecento anni dalla morte di Napoleone. Per il 5 maggio, a duecento anni dalla morte di Napoleone Bonaparte, un concerto con musiche e strumenti d’epoca che rievoca il gusto e i suoni tipici del primo Ottocento. In programma cinque pagine vicine al contesto musicale napoleonico: Giovanni Paisiello (1740-1816), A favorite Sonata for the Piano Forte; Ludwig van Beethoven (1770-1827), Sei variazioni in sol maggiore per pianoforte su “Nel cor più non mi sento” della “Bella Molinara” di Paisiello WoO 70; Philipp Jakob Riotte (1776-1856), Europens Wonnetag. Die Vermählungsfeier Marien Louisens mit Napoleon I. am 11ten März 1810. Ein Musikalisches Gemälde für das Forte-Piano Op. 34; Philipp Jakob Riotte, Die Schlacht bey Leipzig oder: Deutschlands Befreyung. Ein charakteristisches Ton-Gemählde für das Piano-Forte (“La battaglia di Lipsia o la liberazione della Germania. Una pittura sonora caratteristica per pianoforte”); Ludwig van Beethoven, Wellingtons Sieg oder die Schlacht bey Vittoria Für das Piano-Forte von Ludwig van Beethoven 91tes Werk. Eigenthum der Verleger op. 91 (“La Vittoria di Wellington ovvero la battaglia di Vittoria” op. 91 – “sinfonia di Vittoria” – seconda parte).
Napoleone e Manzoni
Fabio Finotti – Direttore dell’IIC di New York – dialoga con Luca Badini Confalonieri (Università di Torino) per il secondo centenario della stesura del Cinque maggio di Alessandro Manzoni. Il professore parla dell’arrivo ritardato in Europa della notizia della morte di Napoleone e di come Manzoni intraprese immediatamente la stesura del suo componimento, appena appresa la notizia. Viene trattata in particolar modo la questione dalla dimensione religiosa dell’ode, analizzandone le espressioni più significative (Genio, orma, naufrago, vergin di servo encomio / e di codardo oltraggio, al disonor del Golgota, cadde la stanca man) e soffermandosi sull’opposizione tra la dimensione della gloria terrena – altalenante ed effimera – e quella della fede nel divino – unica vera fonte di salvezza e redenzione. Nonostante la sua ostilità politica nei confronti del francese, il poeta rivendica la sua capacità di scorgere il valore universale della vicenda di Napoleone: la vita dell’imperatore diventa exemplum della vita umana, di come ogni tentativo di lasciare il proprio segno nel mondo è vano e di come solamente la fede in Dio può salvezza. Si riflette infine sulla fortuna internazionale del Cinque maggio, che divenne conosciutissima nonostante l’iniziale censura ed è da sempre oggetto di varie traduzioni.