45. 27 settembre 2023 – Cherokee
Qui non è Nuova York – Verso sud con Maria Teresa Cometto e Glauco Maggi
Soltanto natura (verdissima) oggi, e con due record americani di cui siamo stati (piccolissima) parte. Abbiamo lasciato la Georgia (anzi la Nord Georgia, come abbiamo imparato da un cartellone di benvenuto lungo la strada da Athens) e siamo entrati nella Carolina del Nord, sfiorando il Tennessee, nel territorio che si chiama Cherokee, dal nome della tribù che ancora via abita.
L’obiettivo di giornata era il Great Smoky Mountains National Park, che con i suoi 14,1 milioni di visitatori nel 2021 (ultima data disponibile) è il parco nazionale più visitato negli Stati Uniti. Primo record. Le Smoky Mountains (Montagne fumanti) si chiamano così perché un particolare rilascio di particelle chimiche – non tossiche, speriamo! – da parte della vegetazione che le ricopre fino in cima crea un effetto “nebbia”, anche nelle giornate serene. Non sono montagne alte, perché il Clingmans Dome, il punto più elevato, arriva solo a 2025 metri. L’effetto visivo del “fumo”, dalla macchina mentre ci si avvicina, può essere spettacolare (immaginiamo). Ma varia d’intensità con le condizioni meteorologiche, ed oggi ci siamo dovuti accontentare di una coltre di nuvole non eccezionale. Quando siamo arrivati al Visitor Center del parco abbiamo capito il motivo del grande successo di pubblico. L’accesso è gratuito, perché il parco non ha un confine, ma è attraversato da una strada sinuosa, bella, di continui saliscendi immersi nella foresta, che va da Cherokee a Gatlinburg in Tennessee. La sua creazione fu decisa dal Congresso negli Anni Trenta del secolo scorso, è stato realizzato come uno dei tanti lavori pubblici del New Deal, e “battezzato” dal presidente Franklyn Delano Roosevelt nel 1940. Il parco, che appartiene al National Park Service, finanzia la propria manutenzione facendo pagare il parcheggio a chi si ferma per goderne le bellezze, e non si limita ad attraversarlo.
Noi ci siamo fermati nel punto da cui si può entrare nell’Appalachian Trail, che attraversa il parco. Il “sentiero delle montagne degli Appalachi” si snoda per 3.540 chilometri dalla Springer Mountain in Georgia al Mount Katahdin nel Maine. Passa attraverso 14 Stati e la Appalachian Trail Conservancy rivendica che questo è il più lungo sentiero al mondo per l’hiking, lo sport dei camminatori. Secondo record.
Oggi abbiamo “assaggiato” sette chilometri del Trail (un tratto di 3,5 chilometri nei due sensi), abbastanza per far correre la mente a diversi pensieri. Noi siamo discreti camminatori, abituati a distanze fino ai 30 chilometri (a New York e altrove), quindi qui abbiamo cercato altre sensazioni.
Abbiamo immaginato che cosa passava per la testa della “nonna” degli Appalachi, il personaggio incredibile che ha contribuito più di chiunque altro a creare il mito di questa impresa, Emma Rowena (Caldwell) Gatewood. Conosciuta come Nonna Gatewood, era nata nel 1887 e nel 1955, dopo aver saputo dell’Appalachian Trail dalla rivista National Geographic, è stata la prima donna a fare l’intero tragitto: aveva 67 anni, madre di 11 figli, vittima di violenze domestiche. Vedendo la pubblicità del sentiero sulla rivista, si convinse che sarebbe stata una passeggiata: infatti si “attrezzò” con un paio di scarpette di tela, uno zaino fatto con pezzi dei suoi bluejeans, una tendina di plastica della doccia per ripararsi dalla pioggia. Strada facendo, la sua “follia” attrasse l’interesse dei giornali locali, il che spinse la gente nei villaggi dove passava a darle cibo e posti dove dormire. “È stato un incubo”, ebbe comunque a dire a fine camminata 146 giorni dopo. Però l’atto del camminare l’aveva conquistata, e così nel 1964 è poi diventata la prima persona (uomo o donna) a concludere l’impresa intera per tre volte.
Emma, quando è passata sugli stessi sassi e sulle stesse radici su cui siamo stati noi oggi, avrà magari rivisto la sua vita, travagliata e unica, ma avrà nello stesso tempo immaginato il suo futuro, quello immediato della notte incombente e quello della speranza, dei suoi anni ancora da passare, e dei traguardi che non smetteva di porsi. Per esempio, nel 1959 fece i 3200 chilometri dell’Oregon Trail, il percorso che attraversa l’America dal nord est al Pacifico. Entrare nel suo processo mentale è impossibile, ma forse solo personalità di questa stoffa possono eccellere oltre i limiti della gente normale. Quando uscì da casa, quel mattino, disse ai suoi figli adulti “ciao, esco a fare una passeggiata”.
Forse, per capire, bisognerebbe rivolgersi a Bill Bryson che, magistralmente, unì l’azione del camminare, la sua, con la riflessione sul perchè. Il suo libro, “A Walk in the Woods: Rediscovering America on the Appalachian Trail” (Una camminata nella foresta: riscoprire l’America sull’Appalachian Trail), è tra i più famosi libri di viaggio, basato sul tentativo che lui fece nel 1996, con un amico, e che si fermò al 40% del tragitto. Bryson non riuscì a portare a termine l’impresa, ma in una intervista successiva disse quello che provò, come scrittore: “La cosa più importante sul camminare è che è una attività priva di sorprese. Non genera materiale utile per la scrittura. Una lunga camminata, una camminata veramente lunga, è una esperienza eccessivamente ripetitiva… quando alla fine sono riuscito a tirar fuori un libro da ciò, fui stupito”.
Bryson celebra così la propria indiscutibile professionalità. Ma lui è stato capace di tirar fuori il sangue dalle rape perché la verità, e torniamo alla nonna Emma, è che il camminatore non spinge il proprio passo, uno dopo l’altro, su una noiosa teoria di radici, sassi e aghi di pino. No, spinge il suo sforzo atletico tutto dentro se stesso, verso un traguardo, o un miraggio, che non finisce finché non finisce la sua volontà.
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