40. 22 settembre 2023 – Baton Rouge
Qui non è Nuova York – Verso sud con Maria Teresa Cometto e Glauco Maggi
Al Texas abbiamo dedicato quasi una settimana, e ci ha ringraziato con un saluto cordiale. L’ultima città sull’autostrada per la Louisiana è Beaumont, che ha il visitor center più confortevole sperimentato in 7 mila miglia. L’insegna esterna ha le lettere cubitali a colori, e quando siamo arrivati nel parcheggio c’era un addetto alle pulizie che le stava lucidando, e poi ha passato stracci insaponati sulle due statue ai veterani della piazzuola. Entrati, prima che chiedessimo alcunché una gentile signora ci ha offerto il caffè e ci ha dato un paio di bottiglie di acqua minerale (“da portare con voi per il viaggio”). Ci ha anche regalato due matite, insieme a una rivista sulla contea.
Le soste in un lungo viaggio sono obbligate, e chi guida non s’aspetta nulla da chi incontra. La signora di Beaumont ha reso invece piacevole, e umano, il nostro stop. Le diciamo ancora grazie, e se vi capita di essere sulla I-10 East… approfittatene.
L’ingresso a Baton Rouge (“bastone rosso” dei nativi locali, francesizzato) ha avuto un minimo problema logistico, perché Maria Teresa credeva d’aver prenotato un albergo moderno in centro e invece era un bed & breakfast nel quartiere Spagnolo, quello più famoso e più antico, fondato nel 1805. L’equivoco si è risolto per il meglio. Abbiamo potuto fare una passeggiata pomeridiana per vedere i due Capitol della città, che è la capitale dello Stato. Perché due? Il primo è una specie di castello con pretese goticheggianti, è il più bello e il più vecchio, del 1847. Il secondo è stato voluto dal governatore Huey Long, che ha preteso fosse il più alto di tutti quelli esistenti. Infatti ha 34 piani e 137 metri di altezza, e nessun Campidoglio lo supera ancora oggi. Completato nel 1931, è un torrione grigio e cupo con due edifici laterali egualmente geometrici e anonimi. Se si vuole dargli una etichetta stilistica, si può solo pensare al monumentalismo tipico dei palazzi di regime dei Paesi totalitari del passato, l’Italia fascista o l’Urss comunista. Del resto, incuriositi dalla figura del governatore Long, abbiamo imparato che era un demagogo variamente definito, o di ultra sinistra o di ultra destra, per le politiche che propugnava (Democratico, appoggiò la campagna per Franklyn Delano Roosevelt nel 1932 ma subito dopo lo criticò come troppo moderato) e per il suo autoritarismo. La “sua” statua (dove è sepolto) campeggia sul lungo prato davanti al “suo” Capitol. Morì assassinato nel 1935, un anno prima delle elezioni presidenziali a cui voleva partecipare per scalzare Roosevelt, da sinistra.
Scendendo lungo il viale del Campidoglio – si chiama 4th Street – che porta al Mississippi, siamo finiti in mezzo a decine di ragazzi e ragazze, in vestiti sportivi azzurro scuro, che uscivano dalla Mentorship Academy. È una delle oltre 150 scuole della Louisiana definite “charter school”, scuole che appartengono al sistema pubblico ma sono gestite privatamente, in sostanza con personale e criteri esterni al controllo del sindacato degli insegnanti. In Louisiana, la legge consente ai genitori con i figli che vanno in scuole che non offrono un adeguato insegnamento di iscriverli in scuole di altri distretti. E le charter school sono le più ambite per i risultati mediamente migliori che gli allievi raggiungono rispetto a quelle gestite pubblicamente.
La nostra camminata ci porta nel cuore sociale-musicale di Baton Rouge, nella enorme piazza tra il municipio e il fiume. Con tempismo casuale capitiamo sul pratone davanti al palco allestito per l’appuntamento musicale settimanale della serie “dal vivo dalle cinque”. Molta gente è già lì con la seggiolina portatile. Al via del concerto, un signore anzianotto con il cappello da veterano e una T-shirt con stampata sul davanti la foto segnaletica di Trump danza con una afro-americana più giovane di lui, al ritmo scatenato della musica Anni ’70. C’è di tutto nel pubblico: neri, che sono la maggioranza in città, bianchi, che sono metà dei neri, ispanici e qualche asiatico. Tutti, almeno qui, ridono e fraternizzano. Baton Rouge è un mix quasi calcolato di etnie. Da un afro-americano ci facciamo spiegare chi sono i suoi amici, una ventina di persone, per lo più bianche, con le magliette rosa e il disegno di un fenicottero sulla schiena o sul petto. “Quei due, marito e moglie, sono il nostro re e la nostra regina che guidano la sfilata di carnevale del Mardi Gras della Spanish Town. Noi altri siamo tutti amici e membri della organizzazione, e il fenicottero rosa è il simbolo della sfilata”.
Ceniamo al Pastime, pizzeria storica da oltre 70 anni nel business e dichiarata Historic Landmark nel 2007, dove ha mangiato Angelina Jolie, tra decine di divi, atleti e politici locali. Noi siamo stati attirati da una specialità della Louisiana veramente unica: la pizza con i crawfish, una specie di gamberetti tipici di questa costa.
Da Dallas, avevamo un appuntamento in sospeso con un luminare italiano della medicina, Giuliano Testa, che non avevamo potuto incontrare là a causa di suoi impegni inderogabili. Oggi l’abbiamo potuto almeno intervistare al telefono, e siamo contenti di averlo recuperato.
Testa è il Direttore della Divisione Trapianti addominali presso il Baylor University Medical Center di Dallas, e assieme alla sua equipe è stato il primo negli USA, nel 2017, ad effettuare un trapianto di utero in una donna nata senza quest’organo. E a riuscire, che è la cosa più eclatante, a farle portare a termine la gravidanza. Per questo successo, Times l’ha nominato uno dei 100 personaggi più influenti al mondo nel 2018. Eco una sintesi della nostra conversazione.
Professor Testa, lei è venuto in America nel 1990 e, visti i risultati, ha avuto una carriera mirabile. Moltissimi studenti in Italia possono essere ispirati, e a ragione, dalla sua storia, ma a noi interessa soprattutto il bilancio che lei, 30 anni dopo, trae dalla sua esperienza americana.
“Mi sono laureato e ho fatto la mia specializzazione a Padova, e poi sono venuto a Chicago. Un bilancio? Vi racconto un episodio che vi farà capire con quale approccio ho vissuto la mia venuta in questo Paese. Appena laureato, a Padova, facevo i turni di notte e ricordo che cosa succedeva al mattino. Riunione con il primario, che chiedeva: che cosa è successo la notte scorsa? Silenzio, paura di rispondere, di non dire la cosa giusta… Qui, invece, è l’opposto. I medici di notte dicono tutto, fedelmente. Da questo ho tratto le regole auree per sopravvivere, e bene, in America. Dire sempre la verità. Assumersi le proprie responsabilità. Non tentare di addolcire, o magari addirittura negare la realtà.”
Lei, ci sta dicendo, ha sempre seguito queste linee guida che vanno contro la prudenza e gli atteggiamenti riservati…
“Certo che è così! Accettare la responsabilità delle azioni compiute ha un enorme beneficio. Vuol dire che tu puoi legittimamente rivendicare tutti i successi tuoi, senza timidezza. Puoi dire ‘questo l’ho fatto io, ed è merito mio se la cosa è andata bene’.”
Ed è la storia della sua brillante carriera…
“Beh, comportandomi in questo modo sono arrivato a dirigere un centro trapianti di eccellenza…”
Torniamo al bilancio: come vede oggi l’America e il sistema medico? E’ tutto come quando lei è arrivato?
“Nella società americana, noto purtroppo che ora è ok dire bugie, tentare di non essere responsabili, cercare di distorcere i fatti… Noto nel mondo accademico USA un certo abbandono della filosofia che mi aveva conquistato. E in politica, a proposito del clima deteriorato sotto l’aspetto della meritocrazia, come è possibile che non ci siano due candidati più giovani per la Casa Bianca?”
Anche nel settore sanitario avverte questo degrado?
“Io ho fatto 16 anni a Chicago e 12 a Dallas, e devo dire che nel Texas ha ancora poco impatto l’influenza federale, per me portatrice del peggioramento del paradigma virtuoso che vi dicevo… Il federalismo è una realtà concreta, funziona. E il Texas gode della immensa ricchezza che viene dai profitti aziendali, e viene riversata in tante iniziative. Dall’arte alle università e alla ricerca. D’altra parte non sono tutte rose e fiori. Sapete che le scuole pubbliche del Texas sono al primo posto per libri tolti dalle biblioteche? Nelle istituzioni private, comunque, non c’è repressione delle idee”.
Le proponiamo un paragone Usa-Italia. Le differenze nella possibilità di carriera, a sfavore dell’Italia, sono dovute alle infrastrutture o alla mentalità?
“Per me è la struttura che impedisce la crescita, in Italia. Io qui sono fortunato perché il mio lavoro è far crescere i giovani e so che loro sono attirati dalla libertà di innovare, di creare. È stata la libertà di innovare che mi ha permesso di arrivare al trapianto dell’utero.”
Ultima battuta di rito: tornerebbe in Italia se ci fosse una chance?
“Mi è stato chiesto da varie parti. E io ho sempre risposto con una domanda: come posso contribuire, se vengo? Posso costruire qualcosa di simile a quanto fatto qui? Il discorso si ferma lì.”
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