34. 16 settembre 2023 – Albany
Qui non è Nuova York – Verso sud con Maria Teresa Cometto e Glauco Maggi
Lungo trasferimento di circa 450 chilometri oggi, da Carlsbad (Nuovo Messico) ad Albany, in Texas. Il Motel Stevens Inn dove abbiamo dormito era tanto pieno di clienti che abbiamo chiesto che cosa li attrae in questa cittadina. “Per il 75% è gente del Texas che lavora qui nei nostri giacimenti di petrolio”, ci ha detto la receptionist.
La US 180 che imbocchiamo appena fuori Carlsbad è dritta dritta e pochissimo frequentata (di sabato, almeno) e offre un campionario della vecchia e della nuova economia texana, con pascoli di mucche nere, campi irrigati coltivati a cotone e pozzi di petrolio. In un tratto di un paio di miglia, a circa metà del viaggio, abbiamo visto in un solo colpo d’occhio un’ampia distesa di pannelli solari, varie file di pale eoliche e una trivella nera classica per l’estrazione del petrolio: sembrava uno spot della diversificazione del Texas nel produrre energia, anche se predominate restano petrolio e gas naturale.
Arriviamo ad Albany per visitare la nostra unica meta odierna, un ex carcere che è diventato un museo d’arte. Si chiama Old Jail Art Center e la direttrice dei programmi educativi, Erin Whitmore, molto appassionata e gentile, ci racconta la storia affascinante del museo.
Aperto nel 1877, il carcere è stato in funzione fino al 1929 e poi dismesso. Robert E. Nail, un nativo dell’area che aveva fatto fortuna come commediografo a New York City, decise di tornare ad Albany, dove acquistò nel 1940 la prigione e ne fece il suo studio. Qualche anno prima aveva creato il suo musical “Fort Griffin Fandangle”, ancora adesso lo spettacolo all’aperto più famoso e più vecchio del Texas. Lo show, che ha un cast di 300 persone, viene rappresentato dal 1938, in due week end di giugno, attirando centinaia di spettatori in questa località a due ore d’auto da Dallas.
Dallo show al museo, il tramite sono due nipoti del commediografo, Bill Bomar e Reilly Nail. I cugini fecero tesoro della ricchezza accumulata dai familiari con i due business del petrolio e del Nail Ranch. Avidi collezionisti di pezzi d’arte da tutto il mondo, dal Giappone all’Europa, quando ereditarono la galera-studio dello zio decisero di usarla come sede permanente delle loro opere. Il progetto prevedeva il mantenimento, intatto, dei piccoli locali usati dagli sceriffi di allora per rinchiudervi i malviventi, ma con un grande ampliamento tutto attorno di sale, auditorium e uffici che ne hanno fatto l’istituzione che è oggi. Viene visitata mediamente da 5 mila persone l’anno, e se vi sembra un numero piccolo cercate di arrivarci, dal Texas o dal Nuovo Messico, e apprezzerete l’afflusso.
“Proprio per la sua collocazione distante dai maggiori centri”, ci dice Erin, “svolgiamo molta attività artistica formativa online. Ma ci vengono a trovare anche le famiglie che fanno home schooling (educano i figli a casa), un fenomeno diffuso nel Texas rurale sia per motivi logistici, sia per scelta culturale-politica”.
Il giro per il museo rivela chicche inattese. C’è una ampia biblioteca di libri d’arte, e tra i pittori esposti spiccano un Amedeo Modigliani del 1918, “Ragazza con le trecce”, un Renoir, e un’opera di Francoise Gilot, la compagna di Picasso morta di recente. Per noi italiani, oltre al quadro di Modigliani, a farci inorgoglire ci sono queste sculture che adornano il cortile d’ingresso del museo:
– “Eva con la Mela” dell’italo americano Aldo Faggi (1885-1966). Nato in Italia studiò a Firenze e emigrò negli Usa nel 1913, prima a Chicago e dal 1926 a Woodstock.
– “Figura” di Luigi Broggini (1908-1983). Andò in esilio in Francia per il fascismo, e fu un protagonista dell’arte italiana a cavallo della Seconda Guerra Mondiale. Con uno studio a Milano, fu l’autore del “cane a sei zampe” dell’Agip.
– “Grande Regina” di Augusto Perez, nato nel 1929 a Messina e morto a Napoli nel 2000.
– “Conversazione” di Pericle Fazzini. Nato nel 1913 a Grottammare, ebbe uno studio in via Margutta, a Roma, dove morì nel 1987. Sue opere sono esposte anche al Met e al Moma di New York.
Quando diciamo che stiamo girando l’America come inviati dell’Istituto Italiano di Cultura i nostri interlocutori americani restano sempre molto colpiti, specialmente se sono nel mondo della cultura e dell’arte. E far notare a Erin la presenza degli artisti italiani nel suo museo è stato reciprocamente gratificante.
La sua famiglia è di origini italiane. “Si chiamavano Ferlazzo i miei bisnonni, venuti in America dalla Sicilia negli Anni Venti – ci racconta Erin -. Mio padre e mio nonno parlano italiano, io purtroppo no: mi hanno portato con loro in Italia quando avevo 21 anni, abbiamo visitato moltissimi musei e io sono rimasta colpita in particolare dal Museo archeologico nazionale di Napoli. È grazie a mio nonno che sono qui. Quando aveva visto il musical “Fort Griffin Fandangle” aveva scoperto questo museo e me l’ha segnalato quando cercavo un nuovo lavoro. D’acchito gli ho detto ‘Non andrò mai a vivere nel mezzo di niente!’. Ma poi sono venuta a visitare il museo, mi è piaciuto molto e sono qui da 13 anni”. Durante la settimana Erin sta in una casa procurata dal museo e nel weekend va a Dallas.
“È vero che qui si è isolati, per fare la spesa o divertirsi la sera bisogna guidare almeno mezzora – continua Erin -. Ma questo è un museo ricco di opere, sono oltre 2.300 e di ottima qualità, e posso lavorare benissimo su due fronti. Gestisco le visite delle scolaresche, che si divertono a toccare i catenacci del cancello, e ospitiamo giovani artisti texani che, nelle due ex-celle al piano di sopra, creano liberamente gli spazi per le mostre dei loro lavori”.
Si dice che l’espressione artistica è libertà, ma anche in una galera nel mezzo del niente l’arte – e quella italiana fa la sua bella parte – ha un grande potere di nutrire lo spirito.
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