28. 10 settembre 2023 – Yuma
Qui non è Nuova York – Verso sud con Maria Teresa Cometto e Glauco Maggi
San Diego, California del sud, era l’ultima tappa dell’andata, e con oggi è iniziato il ritorno verso est. Come strategia di viaggio abbiamo adottato, fin dalla Route 66 verso ovest, l’abbandono ove possibile delle autostrade a 4 o 5 corsie, preferendo le strade storiche, o comunque locali, a due corsie. È una indicazione che suggeriamo caldamente, perché permette di vedere l’America nel suo paesaggio variegato. Con un avvertimento: Google non è mai d’accordo sui percorsi alternativi, e spinge sempre per le rotte più veloci. Maria Teresa, che fa da navigatore intelligente, ha il suo daffare a tenere la barra sulle vie “secondarie”, e ormai ha acquisito una buona pratica.
Oggi era particolarmente importante, perché la US 94, e poi la Historic US 80, sono le arterie più vicine al confine messicano e noi vogliamo fare la rotta il più possibile meridionale tornando ad est.
Appena usciti da San Diego, la scelta della US 94 (al posto della popolare e più trafficata US 8) è stata premiante. A La Mesa, sulla Campo Road, abbiamo notato su una collina una mega chiesa, la Skyline Church, e abbiamo deciso al volo di andare a visitarla. Domenica è il giorno ideale, siamo entrati a messa iniziata, perdendo i primi 20 minuti di canti, ma in tempo per la predica del pastore Tom Mercer, incentrata sul proselitismo. Il suo messaggio centrale si basa sul Principio di Oikos, che lui recita così: “Il 95% delle conversioni cristiane sono generate principalmente attraverso le relazioni condivise con un certo numero di persone del tuo mondo, da 8 a 15. Persone che Dio ha super-naturalmente e strategicamente piazzato nella fila di fronte della tua vita: parenti, compagni di scuola, amici, vicini di casa, compagni di lavoro, e altri”. Il pastore ha elaborato il concetto introducendo un parallelo con la espansione del Covid. “Le autorità sanitarie vogliono ‘mitigare’ la sua diffusione con le maschere (nessuno la portava oggi, NDA), e in tanti cercano da fuori di ‘mitigare’ il rapporto con Gesù: ma voi dovete diffondere la fede in Lui.”
La Chiesa, metodista, è stata fondata nel 1954. È al centro di un complesso di edifici che ospitano anche vari uffici e centri studi, di cui uno per educare i bambini, e un auditorium. Può ospitare duemila fedeli, ed era quasi piena per la prima funzione del mattino. Per le auto c’è un parcheggio su due livelli, lungo oltre 100 metri, e sulla piazza della chiesa c’è un parco giochi per bambini, con uno scivolo molto alto. Essendo il 10 settembre la Festa dei Nonni, c’era una bancarella che distribuiva dolci per celebrarla, e noi ne abbiamo approfittato.
Se la visita alla congregazione del pastore evangelico a Charleston ci aveva insegnato la religiosità da gospel dei neri cristiani, il pastore bianco Mercer ci è sembrato un terapeuta della mente, intento a somministrare una cura psicologica di massa ad un pubblico di pazienti che fanno disciplinatamente la loro parte. Pazienti bianchi per il 90%, con il resto di ispanici e asiatici: di neri ne avremo visti forse cinque. La Skyline Church è una “impresa”, come tendono ad essere le mega chiese. È efficiente, attenta ai conti e al fundraising, e con una struttura in crescita: sul suo sito ci sono dieci posizioni professionali da coprire.
Ripreso il viaggio dopo la parentesi religiosa, la strada US 94 si fa “pista”. È una teoria di curve, stretta, tendenzialmente in salita fino a portarci a oltre 1000 metri di altitudine. Gli appassionati di moto da corsa la conoscono, evidentemente. Per noi è stato scioccante l’incontro con un gruppo di centauri, in pelle nera e con coraggio e perizia da Valentino Rossi. Ci si sono parati davanti, rombanti, a distanza di una trentina di metri l’uno dietro l’altro, le ruote piegate a 30 gradi dall’asfalto perfetto. Maria Teresa ha perso l’attimo per le foto, paralizzata. Io ho rallentato a 20 miglia all’ora, e mi sono appiattito più che potevo alla parete della montagna sulla mia destra, per favorire le loro evoluzioni e… salvare la pelle.
Lo spettacolo naturalistico, però, è stato eccezionale: rocce di una conformazione sassosa, rotonda, mai vista, che via via si è colorata del verde secco dei cespugli e del marrone delle colline brulle. Poi, d’improvviso, è apparso il Muro. Siccome non la ha eretto tutto Trump, non sappiamo se i tratti che abbiamo visto, dopo Tecate per una trentina di miglia, siano invece opera di George W. Bush o di Obama. Anche loro avevano costruito dei pezzi di muro nei decenni precedenti. L’ultimo tratto, che abbiamo visto sulla Historic 80 vicino a Jacumba, nel punto che sfiora il confine con il Messico, è invece certamente dell’era Trump: eretto nel 2020, è riconoscibile per la sua struttura a sottili paletti paralleli verticali che consentono alle guardie di frontiera di “avvistare” eventuali clandestini in avvicinamento. Ci sono state tante polemiche sull’impatto ambientale di queste barriere, ma anche questa è un’America da mostrare.
La questione dei migranti è qui per restare per chissà quanto tempo ancora e nelle prossime puntate, negli stati di confine che attraverseremo, cercheremo di documentare gli effetti sulle popolazioni di confine di questo dramma.
L’infinita marcia on the road di questa domenica aveva ancora qualcosa di sorprendente, in serbo per noi. In un’area di sosta sulla autostrada non lontano da Felicity, ultima città californiana a poche miglia dalla nostra meta di Yuma, in Arizona, scesi dall’auto sempre ben refrigerata ci siamo paralizzati per il vento caldo. Noi 41 gradi non li avevamo mai provati prima, a nostra memoria. Risaliti subito in auto ci siamo diretti nel punto che viene descritto come “il centro del mondo”. È, appunto, a Felicity, dove un piccolo museo e una piramide segnalano il bizzarro primato. Non essendo la Terra una sfera perfetta, è arduo definire il centro, oltretutto sulla sua superficie. Ma tant’è. Il parigino Jacques-André Istel, ex banchiere d’affari di 94 anni, trapiantato qui da anni, ha fondato Felicity nel 1986 e vi ha costruito la relativa piramide che ha dichiarato “centro del mondo”. Un personaggio impressionante, a cui andava stretta la Francia e che ha realizzato il proprio sogno americano.
Abbiamo fatto un’ultima breve sosta appena fuori Felicity, davanti ad una Missione cattolica trasformata oggi in chiesa indiano-cristiana. Lì vicino c’è un ponte in ferro sopra il Colorado River, e la sorpresa è stata vedere decine di famiglie con bambini che sguazzavano nell’acqua bassa ridendo e godendosi il refrigerio all’ombra del ponte. Il nostro cellulare segnava a questo punto 42 gradi. Varcato il confine con l’Arizona, ci siamo rifugiati nel nostro Motel. Nancy è stata cortese nell’accoglierci, e ciarliera. Volevamo conferma del fatto che Yuma fosse davvero una delle città che cresce più rapidamente in America. Non ci ha dato cifre, ma fatti: “Siamo la capitale d’America della lattuga, e in generale le coltivazioni agricole qui vanno benissimo, grazie al clima: cavoli, meloni, agrumi.. di tutto. Chi ci lavora? Ci sono regolari e irregolari”, ammicca. Poi ci sorprende con una notizia inattesa: “C’è anche un intenso traffico di turisti, a parte quelli normali come voi, che vengono qui, e stanno anche per periodi lunghi, per curarsi i denti e la vista”. Qui? “No no, vanno in Messico perché costa molto meno”. Il Messico fa per gli americani la parte che i croati fanno per gli italiani: non lo sapevamo proprio. Però non ci stupisce. È la globalizzazione delle dentiere. Nancy sorride e Maria Teresa è irriverente: “L’ha fatto pure lei?”. “Certo”. “Vanno bene i suoi denti? Da quanti anni?” . “Saranno quattro o cinque, tutto ok”, e sorride ancora tutta contenta.
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