27. 9 settembre 2023 – San Diego
Qui non è Nuova York – Verso sud con Maria Teresa Cometto e Glauco Maggi
Giornata etnica dalla mattina alla sera, e non ci si può stupire se si pensa che siamo a 25 miglia dal confine con il Messico. San Diego è un crogiuolo di razze, di arrivo antico e contemporaneo. Abbiamo dedotto, dall’esistenza di ristoranti con Kabul e Baghdad nelle insegne, che si sono insediate recenti correnti di esuli dai territori delle guerre in Iraq e in Afghanistan. E stamattina, uscendo dal nostro albergo sulla Seconda Avenue, abbiamo notato a due passi da noi una fiera di strada con gli striscioni “Little Italy”. L’area qui attorno è, di nome, la Little Italy di San Diego, ma in realtà la comunità è molto piccola, ci ha detto un amico italiano, tanto che non abbiamo notato alcuna traccia italiana tra le bancarelle del mercato. La sensazione è che gli ambulanti della fiera del sabato usino il brand “Little Italy” perché attira, non perché ci sia una vera attinenza con l’Italia. Per gran parte è un ‘farm market’, banchi di frutta e verdura di produttori locali, alternati a chioschi di cibi argentini, cubani, francesi e persino uno che offre l’esperienza della raclette di formaggio (svizzero). Insomma, un caso di “sounding Italian” relativo a una fiera di strada invece che al solito formaggio “parmesan” al posto del Parmigiano Reggiano.
Lasciamo downtown e puntiamo sul faro di Point Loma appena fuori città per il pezzo forte, scopriremo, dell’intera giornata. Il Cabrillo National Monument si prospettava solo come una tappa doverosa in una giornata in cui avevamo deciso di far riposare la macchina, e noi stessi, prima di metterci domenica 10 sulla via del ritorno. Creato nel 1913, è un promontorio con un lato sull’oceano aperto e l’altro, ricurvo, che forma l’ansa del porto di San Diego. Celebra l’impresa del Cristoforo Colombo della costa occidentale, Juan Rodriguez Cabrillo, che fu il primo europeo a sbarcare nell’America Settentrionale. Venuto con un galeone dai possedimenti spagnoli in Sud America alla scoperta della Nuova Spagna, a nord, è in effetti sbarcato dove è oggi San Diego. Il suo viaggio è avvenuto nel 1542, esattamente 50 anni dopo quello di Colombo. Noi ignoravamo l’esistenza di Cabrillo, anche perché non è mai finito nel mirino di quelli che accusano Cristoforo di genocidio dei nativi americani. Ma, solo per puntualizzare, se il genovese ha portato gli europei nell’America atlantica, Cabrillo (di cui non si sa bene se fosse portoghese o spagnolo) ha portato gli spagnoli a colonizzare l’America pacifica. Ma di lui, i fustigatori dell’Occidente si sono scordati.
Chiusa la digressione, e raggiunto il faro sulla punta del promontorio, si ammira uno spettacolo blu che si estende per decine di chilometri sul Pacifico (e che può comprendere le balene, in inverno). Il faro stesso, completato nel 1854, è visitabile nel suo interno, ed è un gioiello. Era dotato di una lampada Fresner (dal nome del suo inventore) che al tempo era tecnologicamente la più avanzata a disposizione sul mercato. Il suo fascio di luce era visibile da 45 chilometri di distanza. È stata in funzione fino al 1997, e a vederla oggi da vicino sembra una scultura artistica, con bordature geometriche del vetro che conteneva la lampada meticolosamente tenuto pulito, limpido, ora per ora. Per garantirlo, il guardiano del faro lavorava per contratto 70 ore settimanali, tutto l’anno, ma di fatto non poteva distrarsi mai. L’appartamento, in cui viveva con la famiglia, ha due camere da letto, uno studio, una ampia sala di soggiorno, la cucina. La lavagna appesa al muro, con le lettere dell’alfabeto, ci dice che i ragazzi non andavano a scuola e che la mamma era la maestra.
Lasciato il faro, delle due gite possibili nel parco la più affascinante è quella che porta alle tidepool (pozze create dalle maree), sulla scogliera aperta sul Pacifico. Le due maree quotidiane nella zona arrivano a due metri e venti e, come si impara dal film irrinunciabile al Visitor Center, creano tre ambienti in cui la natura, instancabile, ripetitiva, spettacolare, disegna scenari sempre uguali e diversi. Le tidepool hanno tre aree, una di bassa, una di media e una di alta marea. In ognuna di esse, la flora e la fauna – le alghe, le conchiglie, le telline, i granchi e tutti gli altri infiniti microorganismi – vivono la stagione secca, l’umida e l’inzuppata.
I ranger invitano a preparare la visita con la clessidra naturale delle maree in testa, in modo da poter assistere ad un copione tanto unico quanto scontato: il teatro del mare, sotto la regia del sipario delle onde, non tradisce mai il suo spartito. Purtroppo, dalla carta che ci ha fornito il ranger oggi, abbiamo saputo che il film più bello, quello che ci avrebbe consentito di ammirare effetti speciali con molluschi e conchiglie protagoniste, verrà girato il 30 settembre… Noi non ci saremo, ma se qualcuno pianifica un viaggio da queste parti si preoccupi di fissare prima un appuntamento. Comunque, scendendo sulla scogliera in una fase di alta marea, abbiamo visto una famiglia di quattro leoni marini su una roccia, una buona consolazione.
L’altra camminata, il Bayside Trail, porta come dice il nome sul versante della baia. È agevolissima e offre una panoramica di San Diego, dall’alto, che ci ha ricordato lo spassoso film in cui Will Ferrel, l’ “Anchorman” della Tv locale, Ron Burgundy, per impressionare una ragazza per cui spasima la porta su una altura sopra la città. E fa il Cicerone alla sua maniera: “Scoperta dai tedeschi nel 1904, San Diago (storpia il nome) ovviamente significa in tedesco vagina di balena….”. Noi, scendendo sulla strada dal faro, abbiamo fatto una scoperta seria. C’è un bunker, scavato nella montagna, presidiato dal ranger Gary. Ci fa entrare e ci mostra un enorme riflettore, protetto da una ruota di vetro alta circa due metri. “Con questa luce le nostre vedette, in tempo di guerra, potevano vedere anche una piccola imbarcazione lontana sette o otto chilometri, se avesse voluto avvicinarsi per attaccare”. Ma è mai successo, chiediamo? “Mai. Non abbiamo mai dovuto sparare un colpo, noi. Da questa postazione, l’ultima volta che qualcuno lo ha fatto sono stati gli spagnoli, nel 1821, quando la California era ancora loro… I giapponesi non si sono mai avvicinati, non ne avevano le capacità tecnologiche. E infatti l’attacco a Pearl Harbor l’hanno fatto con gli aerei, non dal mare”. Veloce lezione di storia, grazie Gary.
Dicevamo delle etnie. Dai fantomatici italiani dell’alba ai reali Chicano della sera. Avevamo saputo di una manifestazione al Chicano Park Museum and Cultural Center e ci siamo andati. Abbiamo così conosciuto la storia del parco cittadino che affonda le sue radici nella mobilitazione dei giovani degli Anni ’70 che lo crearono. Il municipio aveva lasciato finire nel degrado uno spazio sotto un cavalcavia nel quartiere abitato da messicani-americani che si considerano “indigeni nativi”, in quanto discendenti di chi viveva nella California prima che diventasse parte degli Stati Uniti. I giovani di questa “raza”, come rivendicano di chiamarsi, si armarono di vanghe, ripulirono l’area, e la occuparono per farne un parco. Fu un’operazione pacifica che nel tempo è stata accettata dalle autorità locali e nazionali, tanto che il parco è ora un landmark nazionale, quindi è tutelato dalla legge. Nel tempo i Chicano hanno anche costruito un centro culturale, in cui si è tenuta oggi l’annuale celebrazione della nascita del Chicano Park. I muri del cavalcavia sono diventati pareti per murales, che si rinnovano periodicamente e che hanno come tema la conservazione della cultura e delle tradizioni dei Chicano. La loro integrazione nella società americana è comunque piena, e non più conflittuale come negli Anni ’70.
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