22. 4 settembre 2023 – Barstow
Qui non è Nuova York – Verso sud con Maria Teresa Cometto e Glauco Maggi
Un’altra giornata di trasferimento verso il west, sempre all’insegna della Route 66. L’albergo che abbiamo lasciato a Kingman in Arizona e quello che ci ha accolto a Barstow, in California, sono entrambi sulla “Mother Road”, la “strada madre”. L’ha chiamata così John Steinbeck in “Furore”, nel 1939, quando ha raccontato la tragedia dei contadini in fuga dall’Oklahoma verso la California, durante la Grande Depressione, per seppellire il passato e guardare al futuro. Grande lirismo da grande scrittore. Per descrivere il nostro viaggio noi usiamo banalmente il metro scolastico: voto 10 alla prima parte in Arizona, e voto n.c., non classificato, dopo Needles, appena entrati in California.
Il tratto da Kingman a Oatman, per chi decidesse di “provare” la Route 66 per qualche ora, senza esagerare, è di sicuro il più bello. Il problema è che in qualche incrocio tra la Route 66 e la freeway I-40 si può sbagliare, perché le indicazioni non sono sempre chiarissime. È la nostra giustificazione, almeno, per essere finiti su uno stradone sterrato dopo aver tentato di recuperare la “strada madre” dalla I-40.
Cercando sempre il lato positivo, nella decina di miglia “fuori strada” prima di riguadagnare la Route 66, ci siamo ritrovati in mezzo a un moderno raggruppamento di case di indiani: infatti il corso principale si chiama Sacramento Road ed è attraversato da vie inequivocabili, tipo Geronimo Drive e Navajo Road.
Non suoni esagerato l’avviso ad avere la massima attenzione, se si vuole davvero restare sulla strada madre, e godersi le emozioni che regala qui. Perderla, nei 45 chilometri da Kingman a Oatman, sarebbe un sacrilegio turistico. La strada è stretta, in forte salita e con tornanti, per lunghi tratti, anche esposti a precipizi mozzafiato. Sappiamo di non dire nulla di nuovo, sotto l’aspetto viabilistico, per chi ha dimestichezza con i valichi alpini del Giro d’Italia. Ma qui, a quei rischi, si aggiunge lo spettacolo da film western, con i colori della roccia rossa e le macchie di una vegetazione desertica. Ciò che lo rende originalissimo, anzi unico.
A proposito di film western, la meta da raggiungere, dopo che si supera il valico a 1082 metri, è Oatman, 200 metri sotto. Oggi è una ghost town, una città fantasma, con i 102 abitanti residui (al censimento del 2020) che sono dediti alla conservazione della tradizione, su cui campano: i cento metri dello stradone sono una fila di saloon e di negozi di souvenir, con i cappelli da cowboy e gli stivali. Ci sono anche diversi asini che circolano placidi, e c’è un perché del fatto che siano lì.
Fondata nel 1906, Oatman fu un importante centro per la corsa all’oro. Ha avuto fino a 10 mila abitanti, tutti in cerca di fortuna oppure persone dell’indotto che si crea in situazioni del genere. Per esempio, sorsero una ventina di saloon e le classiche attività di contorno. La corsa all’oro non fu un fiasco, e il “bottino” alla metà degli Anni ’30 era stato di 2 milioni di once d’oro. Le miniere attorno richiedevano portatori validi, per i trasporti del materiale necessario a costruirle, e a gestirle. Gli asini (chiamati qui burro, in spagnolo) erano l’ideale. Hanno lavorato per anni con i cercatori d’oro, ma poi il business è via via diminuito e le miniere sono state abbandonate, una dopo l’altra. Quando, nel 1942, il governo federale decise che il mantenimento della attività delle miniere non serviva a sostenere lo sforzo bellico, Oatman di fatto morì. Gli asini non servivano più e furono lasciati liberi, adattandosi a vivere selvaggi nel territorio brullo tutt’attorno. Quelli che si vedono nel villaggio fantasma di oggi sono addomesticati, e i negozi vendono “food for burros”, cibo per asini. Un cartello municipale, però, avvisa di rispettare gli asini selvaggi che pascolano nella natura, standone alla larga: possono essere pericolosi, mordere e scalciare, ma per un altro aspetto sono rimasti il simbolo vivente del Far West dell’epoca della Frontiera.
Lo scenario della Route 66 dopo Oatman è quello tipico del deserto Mojave, che si estende al Nevada e alla California: si ammirano distese infinite di cactus Cholla, scendendo al piano, fino a quando si attraversa il Colorado River. Entriamo in California e niente faceva presagire un cambio tanto repentino nella sorte del viaggio. Arrivati a Needles, abbiamo tentato per tre volte di tornare sulla Route 66, dopo che eravamo stati obbligati ad andare sull’autostrada. Sempre respinti, con cartelli di “strada chiusa”, senza spiegazioni (lavori in corso? mah). Costretti a riprendere l’autostrada, prestissimo ci siamo ritrovati in colonna. È il nostro primo serio ingorgo di questo viaggio, che ci è costato due ore secche di ritardo.
C’erano lavori in corso, che hanno ridotto la strada ad una sola corsia, da due-tre che sono di solito. Dopo 4 mila miglia di circolazione regolare, mettiamo nel conto di una statistica accettabile la disavventura di oggi. Invece restiamo veramente male, usciti finalmente dalla I-40 sulla via per Barstow, quando passiamo di fianco alle pompe di benzina. Finora, da New York a qui, il prezzo a gallone (un gallone sono 3,8 litri) aveva oscillato da 3,30 dollari a 3,80 dollari. In California, almeno finora, abbiamo visto un balzo a 5 dollari e anche di più.
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