19. 1 settembre 2023 – Gallup

Qui non è Nuova York – Verso sud con Maria Teresa Cometto e Glauco Maggi

Una giornata che ha fatto eccezione. Nessuna interazione con esseri umani, ma totale immersione nella natura. Per arrivare a Gallup, che è ancora in Nuovo Messico, abbiamo fatto una leggera deviazione per visitare due Monumenti Nazionali, El Malpais e El Morro. I Monumenti Nazionali sono “opere della Natura”, che un presidente ritiene degne di essere preservate per l’eternità, a beneficio delle generazioni future che potranno continuare ad ammirarle.

El Malpais, “terra cattiva” in spagnolo, è un “giardino di lava”, anzi di lave di diversa origine: una di eruzioni lontane anche oltre centinaia di migliaia di anni, e una seconda giovane, relativamente, vecchia di soltanto alcune migliaia d’anni. I vulcani dell’area, un altopiano collinare sopra i duemila metri, hanno prodotto flussi lavici che si sono diffusi largamente come fossero dei fiumi, e hanno creato decine di radure sparse e nere, e alcune cave che sono diventate, dicono, il paradiso dei pipistrelli. Ce ne sono 150 mila, escono alla sera e volano tutt’attorno a caccia di insetti percorrendo in media una trentina di miglia per nutrirsi. Abbiamo visto la scena nel filmato del visitor center, che è sempre un modo istruttivo per godersi dal vivo, dopo, il parco.

Peraltro, oggi El Malpais ce lo siamo goduto solo noi. Il giro di oltre mille metri sulla crosta del Calderon, il cratere del vulcano maggiore, è d’obbligo. Non ci era mai successo di essere da soli in un parco, o in un monumento nazionale, ed oggi è capitato. La giornata era perfetta come clima, ma essendo il venerdì che precede il lungo weekend del Labour Day, giorno che tradizionalmente segna la fine dell’estate e l’inizio delle scuole, non c’era frenesia turistica diffusa.

Meglio. Era l’ambiente giusto per perdersi in una atmosfera ancestrale. Nei musei degli indiani e dei pueblo abbiamo imparato che la loro religione, cioè il modo di vivere da vivi l’aldilà, si fonda su una sorta di simbiosi della mente con il corpo, con la terra, con tutti gli elementi della natura. Non è il semplice rispetto del pianeta, che è sempre stato un corollario dichiarato, e spesso di maniera, della nostra civiltà occidentale e cristiana, da San Francesco alla versione “laica”, moderna, farisaica, inflazionata, della “sostenibilità”.

È un qualcosa di immanente nel modo di sentire di questa gente. Quando i colonizzatori europei hanno introdotto il diritto alla proprietà della terra per i nativi, credendo di far loro un atto di giustizia, gli indiani non capivano proprio il concetto: la terra e la divinità sono una sola cosa e agli umani spetta semplicemente il suo godimento.

Camminando in quella natura, risorta dalle lave e vissuta dai nativi per secoli, per millenni forse, si può solo immaginare quale magia di storia umana si sia generata da queste parti. Ma lo facciamo con le nostre lenti culturali, impossibile immedesimarsi davvero.

Il secondo monumento nazionale, El Morro (il promontorio in spagnolo), è di un’altra categoria. Lo si raggiunge in meno di un’ora in auto da Malpais e da lontano, in auto, fa subito impressione per la sua imponenza. È un massiccio di pietra biancastra e rosa e marrone, con le pareti a picco. Lo strapiombo più mozzafiato è di 61 metri. Tanto i sassi del Calderon erano neri, rugosi, porosi, intoccabili come grattugie, tanto l’arenaria del Morro è liscia, levigata. Sembra marmorea, di un marmo disegnato con mille geometrie, cerchi e ovali. Ma, soprattutto, scalabile con normali scarpe da jogging. Quest’opera della natura, che il patron massimo della conservazione americana, il presidente Teddy Roosevelt, ha dichiarato monumento nazionale nel 1906, ha in realtà due caratteristiche che la rendono unica, e godibile. La parete del Morro, nella sua parte bassa, ha una serie di stazioni di “lettura” che sono come il registro dei visitatori di un museo. Qui hanno vissuto, dal 1200 dopo Cristo, gli indiani delle tre tribù che occupavano e ancora occupano la regione attorno al Morro, gli Acoma, i Navajo, e gli Zuni. Poi sono arrivati gli spagnoli esploratori e conquistadores. E in seguito i coloni americani, fino ai primissimi turisti dell’inizio del secolo scorso. Tutti graffitari rupestri, che hanno lasciato migliaia di messaggi. Infatti la parete si chiama Inscription Rock, ed è una gigantesca lavagna che ha raccolto migliaia di parole, di frasi di geroglifici, a partire da quello che ha la data più antica, ma che non necessariamente è stato il primo: Juan de Onate, nel 1605, spagnolo di passaggio, ha firmato con il suo nome. Il paradosso è che c’è un avviso che ammonisce che scrivere sul Morro è vietato. Da quando è un monumento, insomma, le deturpazioni precedenti sono diventate un patrimonio da proteggere contro i nuovi vandali.

L’altro intervento dell’uomo sul massiccio, invece, è stato fatto veramente a fin di bene. Tra le opere del programma governativo del New Deal, negli Anni ’30, per favorire il godimento, oltre che la preservazione, dei monumenti nazionali, c’è stata anche la trasformazione del Morro in una attrazione alla portata di tutti i turisti. Gli operai-artisti dell’epoca hanno compiuto un’opera certosina ancora utilizzabile oggi: per consentire la salita fino sul retro del massiccio agevolmente, hanno segnato a colpi di scalpello, punto per punto, manualmente, il tracciato più facile, e affrontabile da tutti. Ancora oggi questo “binario” di graffi indelebili costituisce il sentiero più sicuro sulla roccia che porta alla cima del Morro. Negli anni, il Parco ha anche costruito scale e scavato scalini nei punti più ripidi proteggendoli con passamano. Tutto il giro del Morro, fino in cima e poi giù per passare davanti alle iscrizioni prende un paio d’ore. Qui abbiamo incontrato due famiglie, una con due e l’altra con tre figli. Per dire che la gita, che altamente consigliamo, la possono fare persino i piccini.  Grazie Teddy, e grazie al suo cugino Franklyn Delano.

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2023-09-03T09:10:54+02:00
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