14. 27 agosto 2023 – Bentonville
Qui non è Nuova York – Verso sud con Maria Teresa Cometto e Glauco Maggi
Oggi il nostro viaggio ci ha portato a Bentonville in Arkansas, dove è nato lo stereotipo più famoso d’America, la catena di supermercati Walmart. Noi non ci andiamo mai a Manhattan, semplicemente perché, pur essendo la più grande e diffusa del Paese, non ha neppure un negozio in nessuno dei cinque boroughs. E il perché è dovuto alla opposizione del sindacato che è (finora) riuscito a fare pressioni sulla classe politica locale affinché non concedesse la licenza per operare al gigante della distribuzione commerciale mondiale, forte di 1,6 milioni di associati negli Stati Uniti, e altri 500 mila in 18 nazioni.
Si chiamano “associati”, e non “dipendenti”, perché dal 1950 il fondatore Sam Walton ha sempre usato questo termine per rimarcare il rapporto di rispetto e di coinvolgimento che l’azienda persegue verso le persone che fanno parte della ditta. Questa filosofia, con le concrete politiche salariali e di promozioni, è sempre riuscita a tenere i sindacati fuori da Walmart: e qui nasce, agli occhi della sinistra e dei Democratici, lo stereotipo della società commerciale ostile verso i lavoratori sul piano sindacale. E, sul piano politico, il conseguente stereotipo di una impresa privata che “trasuda” simpatia per la destra e i Repubblicani.
Arriviamo quindi a Bentonville, alle porte del Chrystal Bridges Museum of American Art – fondato nel 2011 da Alice Walton, una dei quattro figli del fondatore di Walmart – con la curiosità di vedere che cosa ha saputo creare lo “stereotipo” del capitalismo USA anti-sindacale. E rimaniamo a bocca aperta, anche se le pagine culturali dei quotidiani e gli amici esperti d’arte ci avevano caldeggiato questa puntata qui, nel cuore di uno Stato rosso a oltre due mila miglia dal Metropolitan Museum di New Yortk: “Ne vale la pena, andateci!”.
Lo confermiamo. Il Chrystal Bridges non è soltanto uno scrigno di opere d’arte contemporanea e classica di americani di nascita, o acquisiti. È pure un gioiello di architettura, integrata nella natura, che qui in America non ha termini di paragone di altrettanta vaglia (a nostra conoscenza). L’ideatore del complesso museale è l’israeliano-canadese-americano Moshe Safdie, che ha concepito una serie di costruzioni per esposizioni di stile moderno. E le ha però magistralmente alternate a laghetti, fontane e vialetti esterni che offrono lo sfogo di rilassanti passeggiate. I percorsi si snodano in una fitta vegetazione, arricchita da sculture astratte o raffiguranti animali, in bronzo o granito.
Una specile esperienza è la visita alla villa costruita dall’architetto minimalista, sommo nel suo stile sobrio e sostenibile ante litteram, Frank Wright Lloyd. La guida audio-registrata che forniscono è molto chiara e facile da seguire, ma ad ogni passo che si fa, all’interno, non si riesce a dimenticare il fatto fondamentale per cui siamo in questa casa, qui, nel bel mezzo sud-orientale dell’America: perché il Museo dei Walton l’ha comprata nel New Jersey, dov’era proprietà di un privato, l’ha smontata, e l’ha rimontata in Arkansas.
La famiglia Walton ha usato 50 acri di sua proprietà, in questa regione dolce e verdissima, per dedicarli alla missione della promozione artistica a favore della comunità. Il termine che si usa qui, per descrivere l’approccio di chi è diventato ricco, è “give back”, ossia “restituire” alla società una parte di quanto guadagnato da privato. Un modo, non moralistico ma pratico, per apprezzare la generosità di Alice Walton, è dunque ammirare il frutto della sua ricchezza privata messo a disposizione della collettività. Quando si entra nel Museo, lo staff si premura di dire “qui non si paga il biglietto perché tutte le spese sono coperte dalla Fondazione della famiglia Walton”. Del resto, la società Walmart se lo può permettere: gli ultimi dati sono di un fatturato di 611 miliardi di dollari, con profitti netti di 11,3 miliardi.
Ma se l’investimento nel Museo è un tangibile beneficio per i visitatori, i collezionisti e gli artisti stessi, l’impegno dei Walton, dal capostipite (morto nel 1992) ai suoi eredi che reggono le sorti della Fondazione, ha reso anche grande la cittadina in cui è fiorito tutto, dal business di Walmart al Chrystal Bridges.
I Walton sono sempre rimasti fedeli a Bentonville. La vedova del fondatore non ha mai voluto che la sua famiglia abbandonasse la cittadina, sede del primo negozio aperto da Sam nel 1951. È ancora lì, sulla Bentonville Town Square. Purtroppo lo stanno ristrutturando per farne un Museo dell’arte del vendere “al prezzo più basso”, il loro motto vincente. Si potrà visitare dal 2024, mentre ora ci si deve accontentare di uno spazio poco distante, più piccolo ma interessante per avere una sommaria celebrazione della storia del fondatore e della sua ditta.
Il successo del Chrystal Bridges nel dare lustro a Bentonville sta nei numeri della sua popolazione, cresciuta del 53%, a quasi 58 mila residenti, da quando è stato inaugurato. I bianchi sono la grande maggioranza, ma da notare è la presenza del 10% di asiatici – indiani coreani e cinesi -. Questi immigrati di qualità sono il frutto dell’ampliamento del settore tecnologico e della logistica necessario allo sviluppo di Walmart, che è sempre di più una potenza digitale in concorrenza diretta con Amazon.
Non ci sono quasi afro-americani (solo il 3%) perché nella zona non ci sono mai state piantagioni. Invece, l’area delle colline Ozarks è stata territorio di immigrazione dalla Germania e dalla Gran Bretagna, con i coloni che venivano per fare agricoltura, allevamenti e caccia.
Le colline Ozarks, a proposito, sono state un’altra piacevolissima scoperta per noi. Sono l’altopiano (difficile definirle montagne con il loro punto più elevato a 781 metri) che si estende tra l’Arkansas, l’Oklahoma, il Missouri e il Kansas. La traversata di questo “mare verde”, un bosco ininterrotto sulla strada US 40 West e sulla strada US 71 Nord, è stata sorprendentemente piacevole. Anche se alla compagnia dei camion ci si deve arrendere viaggiando da costa a costa, e in questo tratto ne abbiamo superati almeno cinque della Walmart, oggi che era domenica.
Bentonville, proprio due giorni prima che ci arrivassimo, è stata celebrata da un articolo del Wall Street Journal come la nuova capitale del “cool”. In effetti passeggiare nel tardo pomeriggio nel quartiere che porta al Museo The Momentary, uno spazio esterno di arte moderna del Chrystal Bridges, è stato gradevole: il ritmo è rilassato, da cittadina del Sud, ma con un gusto cosmopolita che si respira nei bar e nei parchi ben frequentati. E anche nel ristorante dove abbiamo cenato, il Preacher’s Son. Si chiama “Figlio del Predicatore”, inevitabilmente, perché il posto era una chiesa vera fino a mezzo secolo fa. Il soffitto a cupola e le grandi vetrate con disegni colorati di pesci e uccelli ne fanno una perfetta cappella laica di Bentonville, la nuova cattedrale dell’arte americana.
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